domenica 25 novembre 2012

Il Mediterraneo, culla delle religioni del libro

A Milano, il dialogo interreligioso sulle orme di Sant'Agostino

Il premio Sant'Agostino che ricorda l'opera del grande filosofo cristiano d'Africa, battestato dal Vescovo Ambrogio a Milano, è andato all'Arcivescovo di Milano, Cardinale Angelo Scola, nella sua qualità di presidente della Fondazione Internazionale Oasis, per la promozione dell'incontro tra cristiani e musulmani. Lo stesso premio è andato - alla sua prima edizione - anche al Principe di Giordania, Ghazi Bin Muhammad Bin Talal; al Consigliere del Re del Marocco, André Azoula;, al Presidente della Fondazione Euromediterranea, Anna Lindh e al Direttore della rivista "Le Monde des Religions", Friederic Lenoir.
Un ottimo segnale che riparte dal nord del nostro paese e che siamo chiamati tutti a coltivare, religionsi e non. L'invito è a lasciare un commento, un segnale.

martedì 20 novembre 2012

Vivere in prima linea le notizie senza la distanza della redazione


Sidi Bou Said - Tunisi

di Emilio Borelli*

E' l'epigrafica dichiarazione di Sophie, la protagonista di Tunisi taxi di sola andata, il  suo libro più recente, che ci fornisce la chiave per interpretare – ben oltre che non il libro – l'intento di Ilaria Guidantoni. E' la superficialità ed il fondamentale disinteresse dei tanti, troppi intellettuali verso l'altra sponda del Mediterraneo, quasi considerato alla stregua dell'altra faccia – davvero –della luna, a stimolare, mettere in moto un processo che dalla vicenda personale e grazie alla vicenda personale della scrittrice stessa riesce ad inanellare in una quotidianità regolata dalla scansione nordafricana tutta una serie di avvenimenti che riesce difficile poter credere siano concentrati nel brevissimo arco temporale coperto dalla sua cronaca dei giorni del dopo Ben Ali. 
Riesce difficile poterlo concepire a chi non abbia una consuetudine con quei luoghi e quelle società.
Ilaria ha da tempo - a quanto credo – deciso cosa farà da grande, proprio per contrasto a quella superficialità che taluni hanno superata purtroppo solo in apparenza, quasi accademicamente, prendendo atto dei cambiamenti repentini determinati nel corso delle cosiddette Primavere arabe.
Al di là dell'analisi che Ilaria sviluppa in merito a queste ultime ed alla società tunisina, analisi e considerazioni che possono essere condivisibili quanto opinabili, quello che la scrittrice ci offre è un cannocchiale inclinato secondo un angolo di visuale che è unico e privilegiato: l'angolo di visuale di chi c'era. Chi ha vissuto la trasformazione di una quotidianità vivendola giorno per giorno, sulla pelle, chi ha realmente avuto modo di scambiare opinioni al mercato o in taxi o in famiglia (gli europei in Nordafrica o vivono da esuli esclusi dal contesto sociale o sono assorbiti in simbiosi dalle famiglie di amici più prossimi, delle quali spesso si trovano a condividere le ritualità, riscoprendo anche le più elementari radici comuni in ambito spirituale), può trasformarsi in un testimone di straordinario peso.
Ilaria si è ritrovata senza alcuno sforzo – credo – ad indossare questa veste, che le si è in realtà cucita addosso, aderendole alla pelle, ma non per un vezzo o nostalgia tardorientalista quanto proprio per renderla strumento di condivisione, veicolo di una riflessione più vasta ed articolata che possa mettere in relazione – di nuovo e per davvero – le due sponde.
Il Nordafrica e l'Africa sono da sempre volutamente fraintesi ed oggetto di speculazione intellettuale prima ancora che economica, l'ignoranza istituzionalizzata della storia di quelle contrade, della spiritualità di quelle collettività, costituisce da secoli elemento determinante della cesura - più che geografica – tra esse e l'Europa.
In Libia
Di volta in volta il linguaggio di quelle genti è inteso come aspro, violento, un parlare che è più gridato ed adatto alle contese oppure – per contrasto – fin troppo languido e poetico, fuori del tempo come fuori del tempo appare la parentesi di Beit al Hikma, l'era dei califfati di Baghdad  ed il trionfo dei componimenti erotici da Mille e una notte. Tutto e il contrario di tutto.
Il bianco o il nero, per noi più avvezzi – come citava un cinico Al Pacino in un ormai datato City Hall – a tutte le sfumature del grigio, assumono un diverso spessore nel quotidiano di vita reale della società nordafricana, ed Ilaria è presente, ed anche per questo riesce a dischiudere per noi quelle porte che, nelle ruelles di Sidi Bou Said, proteggono gelosamente l'essenza di altre preziose intimità.
Dicevo poco sopra che Ilaria ha già deciso cosa far da grande, ovviamente è un compito ambizioso quello di aprire un dibattito, un dialogo, sulla società, tra due sponde di un mare che da via di comunicazione si è voluto far regredire ad ostacolo insormontabile, solcato come cento o duecento anni addietro  dalle cannoniere, in molti e ben blasonati infatti hanno argomentato negli ultimi mesi ed anni di Mediterraneo ma il più delle volte si è trattato di vuota, strumentale tautologia; Ilaria Guidantoni si differenzia da questa pletora oltre che per la sua formazione culturale per un ulteriore dettaglio che è in realtà un atout difficilmente superabile: lei sa di cosa parla perché lei c'era.
Nell'epoca dei millantatori e dei “filosofi” dell'interventismo guerrafondaio e petrolchimico riuscirà questa donna determinata a timonare il buonsenso dall'oltremare fino alle nostre coste?
Mumkin. Inch'Allah. (Forse. Se Dio lo vorrà).

Emilio Borelli al mathendusch
*Emilio Borelli, fiorentino. Sono ormai trent'anni che ha iniziato un suo lungo e articolato percorso in più fasi attraverso l'Africa ed in particolare le regioni del Sahara. Da quando, studente di Architettura, aveva iniziato ad attraversare quelle regioni a bordo di un Land Rover di quinta mano collezionando imprevisti e ingenue scoperte, molte cose sono cambiate e un approccio di fascinazione si è andato trasformando in un cammino a tappe forzate verso quel qualcosa di non codificato e non tangibile che l’uomo da sempre insegue. Ancora oggi il suo viaggio continua, sempre aggiornandosi di interessi e definendosi nuovi obiettivi. Dalla sua notevole confidenza con il deserto e la sua gente ha iniziato nel 2004 a trarre gli spunti per la regolare pubblicazione del calendario fotografico "Ambiance" e nel 2007 ha pubblicato "La notte al Sahara è cielo", la sua prima raccolta di racconti di viaggio. Ultimi titoli pubblicati: "Lettera da Agadez", "Racconti sahariani", "Libia: sull’orlo del vulcano" (Polaris, 2011) e "Libia il naufragio dell'Europa" (aprile 2012).

sabato 13 ottobre 2012

Mediterraneo

Il Mediterraneo rappresenta per il mondo occidentale, universo vasto e variegato, quanto mai articolato, la culla della civiltà. Oggi questo lago salato, per dirla con Pedrag Matveiević, è una pozza di sangue.
Senza sogni utopistici o missionari, scevri da progetti politici e culturali totalizzanti, presunzioni ataviche, questo spazio nasce dal desiderio di riscoprire il mare nostrum come una dimensione iscritta indelebilmente nel dna di tutti coloro che ne sono bagnati o ai quali giunge comunque la brezza e il sapore del sale. La mia convinzione profonda è che esista un comune denominatore non banale per i popoli mediterranei che presentano nelle loro storie un fil rouge, la "mediterraneità". Il primo passo da compiere è la presa di coscienza di questa ricchezza di un'unità nella declinazione di infinite differenze, strumento di pace, l'unico efficace il resto verrà. L'approccio è dettato dalla curiositas quale motore dell'uomo. Qui è nato il pensiero filosofico secondo i canoni della struttura che ha sostenuto la storia e il destino dell'Occidente; qui sono nate le tre religioni del libro; qui ancora è nata la civiltà classica.
Nel processo di riscoperta non si tratta solo di condurre il lavoro di storici, tutt'altro; quanto di ripensare il Mediterraneo come un bacino chiuso nel segno della circolarità, dell'assemblea, del lògos come ascolto, accoglienza, raccogliemento, oltre che come parola che afferma, pensiero logico. E ancora, l'idea è che il Mediterraneo non abbia dei punti cardinali definiti una volta per sempre soprattutto tra nord e sud. L'orientamento potrebbe essere capovolto. Chiunque vorrà affacciarsi a questo spazio e parteciparvi, presentandosi, sarà invitato a mettersi dalla parte dell'altro, del suo vicino di casa o del suo dirimpettaio. Lo spazio è disponibile non solo per 'dire' quanto per 'ascoltare', chiedere, proporre. Non c'è un'esclusione, solo un prendere la parola. Il mio cammino parte dall'invito rivolto a quanti coloro conosco direttamente o indirettamente e che si occupano di Mediterraneo, in primis, giornalisti, scrittori, artisti, politologi, artisti, viaggiatori e militanti.
Per chi ha studiato l'Ecole des Annales, la parola 'mediterraneo' si associa spontaneamente all'opera imponente di Fernand Braudel, La Mediterranéè, che ha rivoluzionato il modo di concepire la storia e che ha posto l'accento su un territorio piuttosto che su un personaggio, nella fattispecie Filippo II. Ora, se la mia geografia mediterranea è fatta soprattutto di voci e di storie di uomini, mentre monumenti e paesaggi restano sullo sfondo; vero è che sono le discussioni e le emozioni corali, le singole storie di persone qualunque e non dei soliti noti a interessare questo spazio. Ne' I tempi della storia, lo storico francese Braudel scrive: "E' scrivendo il libro sul Mediterraneo che sono stato portato a dividere il tempo della storia secondo le sue diverse velocità, secondo le sue differenti temporalità. Allo stesso modo, alla lunga durata non ci ho mai pensato prima di dover scrivere il libro sul Mediterraneo. Ugualmente, la globalità, la storia globale che io sostengo, mi si è imposta a poco a poco.  E' una cosa estremamente semplice, tanto semplice che la maggior parte dei miei colleghi non mi capisce.... La globalità non è la pretesa di scrivere una storia globale del mondo. Non si tratta di una pretesa così puerile, simpatica o folle. E' semplicemente il desiderio, all'atto di affrontare un problema, di oltrepassare sistematicamente tutti i limiti", perché - condivido e in parte aggiungo io - non esistono frontiere definite e definitive, muri di cinta così alti da non poter essere scavalcati. Non capiremmo mai noi stessi e non ci salveremmo se non perdendoci nell'altro. Altrimenti il rischio è un modello totalizzantee omologante che prima o poi sarà rovesciato dalla collera dei popoli o nell'implosione.