giovedì 28 novembre 2013

Editoriaraba - Tangeri. La Librairie des Colonnes e il multiculturalismo marocchino

Questo articolo è apparso domenica su Osservatorio Iraq – Nord Africa e Medio Oriente.

Durante i giorni di forte vento, quando le nuvole dello stretto lasciano il cielo di un bel blu terso, la costa spagnola, vista dalla Bab al-Bahr (“porta del mare”) della casbah, appare talmente vicina che sembra di poterla toccare con le dita.

Sono quei maledetti 14 chilometri che separano Tangeri dalla Spagna, l’Africa dall’Europa, che agli occhi dei migranti che li guardano dall’alto della casbah sembrano ancora meno. Gli scrittori marocchini hanno versato fiumi di inchiostro sulle speranze e le delusioni dei migranti in procinto di partire per l’Europa e lasciare la propria terra.

Eppure c’è stato un tempo non troppo lontano in cui Tangeri era la meta preferita di europei e nordamericani alla ricerca di un porto libero in cui rifugiarsi, per scappare dall’asfissiante perbenismo dell’Occidente e dalle sue guerre.

Ma Tangeri era anche conosciuta come la città bianca dall’anima nera, per via della sua reputazione macchiata da storie e leggende che parlavano di alcolismo, prostituzione e malaffare.

Dal 1923 al 1956, anno dell’indipendenza del Marocco dalla Francia coloniale, la città ventosa fu governata da un’amministrazione internazionale e quei decenni passarono alla storia come il periodo dell’Inter-Zona. Governata da ricchi europei espatriati che rappresentavano la metà dei 70mila abitanti dell’epoca, “nessuna città in Marocco presentava un volto meno marocchino”, scrive Terence MacCarthy nel suo breve saggio Beyond the columns. A History of the Librairie des Colonnes, Tangier and its Literary Circle (The Black Eagle Press, Tangier 2013).

In quegli anni Tangeri diventò un vero “porto di mare” accogliendo chiunque fosse in cerca di regole più rilassate, di un ambiente cosmopolita e variegato, di amori non ortodossi e di una cultura eclettica: spie, rifugiati politici, omosessuali, speculatori, giornalisti, lord decaduti, lady che avevano dato scandalo, fumatori di oppio.

E, soprattutto, divenne il rifugio degli scrittori della “Beat Generation” come Jack Kerouac, William Burroughs, Truman Capote, Tennesse Williams, Jean Genet e naturalmente Paul e Jane Bowles, pilastri della vita culturale per gli anni a venire (Bowles morirà a Tangeri nel 1999).

Il salotto culturale tangerino par excellence nasce nel 1949 al numero 54 di Boulevard Pasteur, nel cuore della città: è la Librairie des Colonnes, la terza “impresa culturale di questo tipo” fondata in Marocco dopo la Librairie Céré di Rabat e la Librairie Farraire di Casablanca.

Affacciata sul boulevard più importante della città, a pochi passi dalla medina, dal Gran Café de Paris e dal Minzah (che ancora non era un Hotel), la libreria, grazie alla direzione congiunta di Isabelle e Yvonne Gérofi (le due, una ebrea ungherese, l’altra belga, erano cognate ma le legava una relazione più profonda, quanto sconveniente per l’epoca) diventa in pochissimo tempo anche un salotto letterario, una galleria d’arte.

Il ritrovo preferito di Bowles e dei suoi colleghi scrittori, il posto perfetto in cui gironzolare alla ricerca di libri in francese, spagnolo, inglese e arabo.

Anche gli artisti marocchini la frequentano: il pittore Ahmed Yacoubi, uno dei protégé di Bowles e a cui Francis Bacon aveva fatto da mentore, fa lì il suo debutto nel 1951, seguito dal maestro dell’astrattismo geometrico Romain Ataallah, la cui personale viene organizzata nel 1958. L’ultimo protetto di Bowles ad esibire le sue opere è stato Mohammed M’rabet, artista e hakawati, invitato dall’attuale direttore della libreria, il francese Simon-Pierre Hamelin.  La lettura continua su Osservatorio Iraq!

lunedì 25 novembre 2013

Editoriaraba - A Roma un convegno su letteratura e scambi culturali con il Mediterraneo del Sud


Giovedì e venerdì l’Università Sapienza di Roma ospita il convegno internazionale “Gli studi interculturali: teorie e pratiche nel contesto degli scambi culturali con la sponda Sud del Mediterraneo”, organizzato e coordinato da Franca Sinopoli e Isabella Camera d’Afflitto.

Negli otto panel di cui si compone, i relatori (ricercatori, docenti, arabisti e italianisti) affronteranno le tematiche della traduzione, delle migrazioni, della letteratura di viaggio, della presenza italiana nel mondo arabo, delle influenze arabe nella letteratura italiana, della mediterraneità, della memoria e di molto altro.

Per saperne di più su relatori&interventi potete scaricare il programma dal blog Editoriaraba.

Il convegno si terrà il 28 e 29 novembre presso l’Aula degli Organi Collegiali (Palazzo del Rettorato).

Info: cerimoniale@uniroma1.it

mercoledì 13 novembre 2013

Primo Forum internazionale degli scrittori a Tunisi


Primo Forum internazionale degli scrittori a Tunisi, insieme a Pen International per volere dell'Ambasciatore europeo a Tunisi, Madame Laura Baeza

Dar Lasram, nel cuore della Medina alta, accanto a Dar Tahar Haddad, il pedagogo morto nel 1935 che scrisse saggi importanti sulla libertà delle donne e oggi sede di un'associazione di impegno civile.
A Dar Lasram si sono svolti i lavori del I Forum Internazionale degli scrittori Euro-Maghreb sulle identità plurali. La manifestazione è stata voluta insieme con il Pen Internazionale, rete per la promozione e difesa della libertà di espressione nata a Londra nel 1921 grazie ad una donna. E' un forum di scrittori che ha elaborato una carta ed è presente nei 5 continenti, 102 paesi e opera attraverso 146 centri. Importante il manifesto di Girona sui diritti linguistici. Per chi ne volesse sapere di più www.pen-international.org/who-we-are/translation-linguistic-rights/
Il Forum è aperto a tutti gli scrittori che possono e vogliano parlare delle proprie opere.

MUTA IMAGO, "PICTURES FROM GIHAN"


Da martedì 13 a domenica 17 novembre 2013 – ore 21.00

Giovedì 14 Novembre, dopo lo spettacolo, Claudia Sorace e Riccardo Fazi con Laura Palmieri incontrano il pubblico per il ciclo di incontri APPENA FATTO! in collaborazione con Rai Radio 3


ideazione Chiara Caimmi, Riccardo Fazi, Claudia Sorace

regia Claudia Sorace drammaturgia / suono Riccardo Fazi

direzione tecnica Maria Elena Fusacchia elaborazione video Luca Brinchi Maria Elena Fusacchia

performance Claudia Sorace, Riccardo Fazi

consulenza alla drammaturgia Giuseppe Acconcia

consulenza alla rumoristica Edmondo Gintili vestiti Fiamma Benvignati

organizzazione Manuela Macaluso foto di scena Stefano Augeri

Grazie a Glen Blackhall per le domande che ci ha fatto, Lukas Wildpanner per i consigli fonici e Tony Clifton Circus per i loro microfoni

Una produzione Muta Imago coproduzione Romaeuropa Festival 2013

residenze Orchard Project - New York, Kollatino Underground - Roma, Teatro Biblioteca Quarticciolo - Roma, Teatro di Roma, Inteatro Polverigi; uno spettacolo nato all’interno del progetto Wake Up! del Teatro di Roma

Dal 13 al 17 novembre I Muta Imago saranno al Teatro Quarticciolo con il nuovo spettacolo Pictures From Gihan, nell’ambito del Romaeuropa Festival 2013.

Questo lavoro è il tentativo di raggiungere una persona. Gihan I. è una giovane blogger egiziana. Come centinaia di migliaia di suoi concittadini, due anni fa, ha vissuto una rivoluzione. A partire dalla prima immagine dell'11 febbraio 2011 in cui viene intervistata a Piazza Tahrir, fino ad arrivare ai tweet in cui racconta della sua vita al Cairo in questi giorni cerchiamo, attraverso il suo sguardo, di tracciare una storia personale e collettiva, manipolando le tracce di un evento per comprenderne la straordinarietà, la velocità, l'immediatezza.

E' possibile capire e raccontare da questa distanza?

In scena due persone cercano di restituire i segni della loro ricerca, aprono l’archivio dei materiali che hanno raccolto su internet e prodotto durante un'estate di ricerca, mostrano il loro tentativo di trovare un contatto personale con una storia che si costruisce senza di loro.

Tutto ha inizio da una lettera scritta dai due artisti, Claudia Sorace e Riccardo Fazi, alla blogger Gihan per stabilire un contatto e proseguire un percorso di ricerca sulla verità di quei fatti. Un primo contatto, virtuale ed umano, per dare vita all’immagine teatrale.


“Cara Gihan,
ti scriviamo di nuovo per dirti a che punto siamo.
Come già saprai, lo scorso inverno abbiamo iniziato a lavorare a un progetto sulla Rivoluzione Egiziana del 2011. Volevamo ricostruire quei fatti a partire da tutte le tracce che di quelle giornate erano ancora presenti e rintracciabili su internet. Scoprimmo, allora, che c’era ancora una quantità enorme di materiali da raccogliere sul web, e tra questi ci imbattemmo nei tuoi: attraverso tweet, post, sms, fotografie, video avevi documentato quello che accadeva intorno a te raccontando quegli eventi dal tuo particolare punto di vista. Con il tempo ci siamo affezionati al tuo sguardo, che sentivamo vicino al nostro, seppure così lontano. Così, ci siamo messi a ricostruire in scena quelle giornate di rivoluzione a partire da te, immaginandoci al tuo posto, e abbiamo realizzato la prima parte dello spettacolo. Nella seconda parte volevamo ritrarre la situazione per come era invece al presente. Ma dopo la mano pesante dell’esercito, le prime elezioni democratiche con la vittoria di Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, una forte restaurazione politica e religiosa in tutto il paese, non riuscivamo a capire come effettivamente le cose si stessero sviluppando. Per questo motivo abbiamo deciso di venire al Cairo, per incontrarti e parlare con te di tutto questo. Per questo motivo abbiamo cominciato a cercarti, a scriverti, senza però avere mai risposta.
Poi, il 30 giugno 2013, tutto cambia.
Il mondo fa un salto, il tempo fa una giravolta: in Egitto scoppia di nuovo la rivoluzione 
(tu diresti che è la stessa dell’inizio, che deve ancora finire).
Tu, dopo mesi di assenza, torni a raccontare le tue giornate su internet.
Noi, ricominciamo a seguire le tue tracce.
Per la prima volta però, il tuo racconto quotidiano si intreccia al nostro; le tue giornate di gioia, rabbia e paura accadono a distanza di spazio ma non più di tempo, mentre cerchiamo in ogni modo di capire e di raggiungerti, di esserti vicina.
Non siamo più davanti a un quadro, di cui studiare le caratteristiche. Siamo ora di fronte a uno specchio, e l’immagine si muove con noi. Il lavoro non ha più a che fare solo con te, ma con noi, mentre cerchiamo di organizzare il nostro viaggio al Cairo, e le domande che avevamo preparato per te iniziano a risuonare in noi.
Quello che vedrai nel video che ti alleghiamo doveva essere il racconto di una rivoluzione. 
E’ finito per diventare il racconto di un’estate. Il racconto di due persone che cercano di restituire i segni della loro ricerca, aprono l’archivio delle loro fonti e mostrano il loro tentativo di entrare a contatto con una storia che viene fatta senza di loro.
Ci piacerebbe molto sapere cosa ne pensi, avere un confronto con te, alla fine di tutto.
Una fine che chissà, potrebbe anche essere un inizio."

Riccardo, Claudia, Muta Imago

lunedì 4 novembre 2013

Dialoghi del Mediterraneo - Bimestrale Istituto Euroarabo di Mazzara del Vallo


"Dialoghi del Mediterraneo" - Bimestrale Istituto Euroarabo di Mazzara del Vallo

La riconquista dello spazio pubblico: la cultura tunisina fra protesta e resistenza  

di  Federico Costanza


Le rivolte soprannominate “Primavere Arabe” hanno svelato la complessità e la frammentarietà delle società arabo-musulmane, in continua evoluzione già prima di tali eventi. Queste società, spesso considerate nella fissità della tradizione religiosa che le contraddistingue e caratterizzate da un alto tasso di crescita demografica, nascondevano in realtà un forte impulso al cambiamento politico.

Oggi ci si è resi conto che non è possibile comprendere fino in fondo i fenomeni socio-politici che hanno sconvolto quest’area se non si inquadrano in un contesto che fa del Mediterraneo non più soltanto lo snodo fra Oriente e Occidente, ma l’ingranaggio di un meccanismo ben più complesso e che riguarda l’intero processo di globalizzazione.

Le Primavere Arabe arrivavano in un momento storico caratterizzato da profonda incertezza economica e politica: il crollo delle Borse e la crisi economica, le politiche di tagli alla spesa pubblica, un mondo del lavoro sempre più precario e flessibile, contraltare alle restrizioni sulla libertà di movimento delle persone e alla rigidità delle leggi sull’immigrazione, la grande contestazione di Occupy Wall Street che si è presto diffusa in molte varianti in tutto il mondo.

In tale scenario globale si muove una generazione transnazionale che dall’Europa agli Stati Uniti, passando per il mondo arabo e l’Asia, fa della protesta il suo vessillo. Una protesta che si diffonde rapidamente, trasversalmente, che parte dalle istanze di gruppi sociali esclusi generalmente dai processi decisionali e che oggi, anche grazie alla più ampia diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, al loro forte impatto sociologico e alla eterogeneità dei loro messaggi, diventano i nuovi protagonisti dei processi di cambiamento economici e politici.

La diffusa scolarizzazione, ma soprattutto gli scambi culturali fra i giovani arabi e i loro coetanei europei, americani, asiatici, la condivisione di un terreno di comune confronto, tutti questi elementi sono alla base di un grande processo globale di cambiamento. Questo processo ha modificato radicalmente il quadro di riferimento ideologico e perfino i linguaggi in uso, trasformando la narrazione della storia con un inizio e “una fine”, come la intendeva Francis Fukuyama agli inizi degli anni ’90 celebrando il liberalismo politico democratico rawlsiano e clintoniano.

Occorre partire da qui per comprendere fino in fondo cosa è accaduto nelle società arabe, a livello culturale e artistico, già prima dell’inizio delle rivolte. Parallelamente alla spinta sociale delle masse, spesso anticipandole, in rivolta per le condizioni di vita e contro la corruzione dilagante dei regimi dittatoriali, le giovani avanguardie culturali escono allo scoperto, utlizzano i social network per organizzare le proteste, diffondono messaggi di riconoscimento universale: come accadde già nel 2004 in Egitto con le proteste del movimento Kifaya, i cui membri confluiranno poi in Tamarroud, la rivolta anti-Morsi del 2013; la Rivoluzione dei Cedri in Libano nel 2005, seguita all’omicidio del Premier Rafik Hariri; il Movimento Verde in Iran nel 2009. Si tratta di un vasto sommovimento di rivolta che incrocia una cultura del dissenso e porta a chiederci quale sia il ruolo assunto dalle élites culturali.

Ne emerge un dialogo culturale e artistico intenso fra le società arabe, un sottobosco censurato, filtrato, esiliato nel corso degli anni: sono gli artisti underground o “di strada”. La riconquista degli spazi, e particolarmente dello “spazio pubblico”, la strada, rappresenta una presa di coscienza collettiva, incalzante come una rolling stone. Un tempo erano gli intellettuali più raffinati a condurre l’evoluzione delle società arabe verso forme di dissidenza o anticonformismo. Oggi il ruolo delle piazze è preponderante.

Nella fattispecie tunisina, il 2010 fu un momento di svolta rispetto al passato nell’ambiente artistico e culturale, già due anni prima profondamente scosso dai sanguinosi fatti di Redeyef, la mobilitazione del bacino minerario di Gafsa repressa dalla polizia. Due importanti eventi artistici nazionali, la mostra collettiva “Le Printemps des Arts de la Marsa” (quanta lungimiranza in quel titolo…) e la Biennale d’Arte Contemporanea, il Festival Dream City, mostrarono le avvisaglie di un cambiamento incipiente. Tantissimi giovani artisti, tra nuovi talenti e artisti affermati, vi parteciparono con fervore e voglia di trasgredire, in un confronto reciproco e inconsueto con altri artisti europei partecipanti.

Mentre, però, Le Printemps restava nel solco delle manifestazioni culturali ufficiali,Dream City si affermò da subito come una vera e propria novità nel panorama artistico tunisino. Per la prima volta, l’arte si trasferiva dalle sedi istituzionali alla strada. Non si trattava di una semplice scelta formale, ma molto di più: gli artisti riconquistavano lo spazio pubblico, quello spazio negato dal regime di Ben Ali a qualsiasi forma di libera espressione. In strada, dove campeggiavano solo i vessilli del potere, il volto sornione e cinico dell’autocrate Presidente, era vietato discutere, esprimersi, criticare.

L’altra grande breccia aperta da Dream City nell’opinione pubblica fu avvicinare l’arte alla gente, collocando addirittura le opere nelle vie della Medina, il centro storico di Tunisi, nei quartieri più popolari, dentro i cortili delle case. All’indomani della Rivoluzione di Gennaio 2011, la creatività era accompagnata da un’euforia a lungo auspicata e repressa che si esprimeva dappertutto. La riconquista della libertà per i tunisini passava nuovamente dalla strada, ora teatro di animate discussioni politiche, comizi improvvisati.

La fotografia, disciplina così discretamente occultata ai tempi del regime, diveniva uno strumento di cronaca, ma anche di affermazione personale di se stessi, come nel progetto “Artocratie” del francese JR, in cui le gigantografie dei volti di gente comune tappezzavano monumenti e palazzi in tutta la Tunisia, suscitando anche aspre polemiche.

In un clima così rinnovato e carico di angoscia per il futuro della giovane Tunisia post-rivoluzionaria ci si chiedeva ancora: “Shkoun Ahna”? Chi siamo? Questo fu il titolo di una grande collettiva allestita in più spazi a Tunisi, che aggregò artisti provenienti da tutto il mondo arabo, a ricordarci che questa importante ondata di rivolte nel Mediterraneo rappresenta ancora un’inquietudine di tipo generazionale, che a tratti sembra quasi risolversi nella fenomenologia identitaria araba della “tribù”.

Tuttavia, ancora più a fondo in tale riflessione sulla propria appartenenza, le società arabe all’indomani delle rivolte cominciarono a interrogarsi sul ruolo della Religione. Questo è avvenuto anche in Tunisia, soprattutto all’indomani delle elezioni per la Costituente di Ottobre 2011 che videro la vittoria del partito islamico di Ennahdha. Progressivamente, gli spazi pubblici faticosamente riconquistati divennero sempre più stretti: da una parte l’affermazione dei diritti civili e politici; dall’altra la necessità di rilanciare il ruolo politico dell’Islam, sia come espressione di una classe media desiderosa di rivalsa, sia come nuova ideologia strumentale alle masse più povere della società.

L’apparente divisione fra laicismo e islamismo, così rappresentata dai media nazionali e internazionali, è in realtà la raffigurazione di un Paese molto eterogeneo, finanche nella morfologia etnica delle singole regioni, testimoni di molteplici civiltà nel corso della storia. La religione comunque rimane il collante dell’identità a lungo cercata, come un prisma attraverso il quale osservarne la frammentazione.

Nella contrapposizione interna alla società tunisina accade, infine, qualcosa di paradossale. Di fronte all’offensiva dell’integralismo religioso, il messaggio culturale di matrice panaraba insito nelle “Primavere Arabe” lascia il posto a un “patriottismo di emergenza”. Alla cieca violenza dei gruppi religiosi più intransigenti, espressa attraverso la distruzione di tele e istallazioni artistiche, minacce di morte propagate attraverso i social network agli artisti e attacchi pubblici diretti alla cultura, si risponde aggregandosi attorno ai valori fondanti della Repubblica tunisina.

Le maggiori manifestazioni culturali divengono quindi momenti di “resistenza”, a testimonianza che non si può più aver paura. “Plus jamais peur” (Mai più paura) è il titolo di un film documentario del regista tunisino Mourad Ben Cheikh invitato al Festival di Cannes nel 2011, la presa di coscienza che la libertà conquistata non può più essere perduta.

I recenti attacchi alla cultura, gli arresti di numerosi artisti e operatori culturali in un momento di massimo scontro politico e sociale rappresentano l’ennesimo passaggio del processo di affermazione della libertà di espressione. Dinanzi alla recrudescenza dell’estremismo religioso e politico, nonché al ritorno di ostacoli tangibili alla libertà di espressione, resta comunque la consapevolezza di aver acquisito una nuova fiducia nel futuro cui le avanguardie culturali non possono prescindere: non aver più paura.