domenica 6 marzo 2016

    “Fuocoammare” film di Gianfranco Rosi
Orso d’Oro a Berlino nel 2016, unico film italiano in questa rassegna, girato in modo sublime, racconta Lampedusa con delicatezza e un certo distacco. Documentario a tutti gli effetti, quasi senza storia, solo piccole storie dall’apparente inconsistenza, disegna un’isola che corre su un doppio binario: due mondi che non si sfiorano, non per l’indifferenza ma semplicemente perché non si conoscono.
Il film di Gianfranco Rosi Fuocoammare premiato con l’Orso d’oro al festival internazionale del cinema di Berlino tocca un argomento che potrebbe essere lo stralcio di alcuni telegiornali. Il regista corre tra la gente come se avesse una telecamera nascosta, con dialoghi ridotti al minimo, per lo più in siciliano e nelle lingue africane locali, sottotitolati in italiano. Ma il film è soprattutto una visione, potrebbe anche essere muto o essere un bisbiglio irriconoscibile. Domina incontrastata la fotografia, senza nessuna oleografia, che riesce però a colorare di sentimenti, di pietà, di tenerezza in certi momenti, di dolore senza mai indugiare sull’elemento pulp o sullo scandalo. Il regista sembra solo descrivere un’ordinaria follia quotidiana. Eppure oltre al dramma dei migranti ce n’è un altro speculare, quello dei pescatori di Lampedusa, isola difficile e povera dove il mare è madre-matrigna, fonte di sostentamento o condanna, per i clandestini come appunto per i pescatori. Il lavoro di Rosi ci fa sentire tutti un po’ pescatori e lascia la speranza di saper gioire dopo una traversata piena di ostacoli o una notte di mare difficile, che tornare a terra, è comunque riprendersi la vita in mano con la voglia di giocare. Quell’isola a 70 miglia dalla costa africana e a 120 da quella siciliana a largo della quale 15 mila persone hanno perso la vita negli ultimi anni, diventa un simbolo del dramma di popolazioni in fuga da guerre e violenze e di speranza appunto allo stesso tempo, ponte tra le due sponde del mare bianco di mezzo, tra l’Africa e l’Europa.
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Intervista Roberta Conigliaro

Scritto da   Domenica, 06 Marzo 2016
Intervista Roberta Conigliaro
Abbiamo incontrato l’artista siracusana, intenta a mettere a punto gli ultimi dettagli per la Personale che si terrà a Trapani dal 12 marzo al 10 aprile prossimo, “Due sponde un solo mare. Viaggio nel mare di mezzo”. Un titolo impegnativo, che racchiude un progetto, dagli orizzonti più ampi di una mostra e che parte da lontano. L’approdo sarà al Museo “Agostino Pepoli”, dedicato al corallo, uno dei simboli del Mediterraneo, nella città del sale e del vento, la più araba forse della sponda nord.

Partiamo dal titolo e quindi dallo spirito: come nasce e cosa significa due sponde un sole mare e il richiamo al mediterraneum come “pianura marittima”?
Da tempo lavoro sul tema del Mediterraneo e sul sud. Ho già fatto due mostre su questi temi, quindi direi che si tratta di un percorso e questa è una delle tappe. Mi sento profondamente una cittadina del sud e soprattutto la mia identità direi che sia mediterranea ancor più che europea.
Sono cresciuta a Siracusa, una città del sud della Sicilia, affacciata sul mare e anche se dagli inizi degli anni Novanta mi sono trasferita a Roma, ciò che sono diventata è stato plasmato dall’essere cresciuta in quella terra, respirando l’aria del mare e la sua storia millenaria. Quando ero piccola d’estate mi piaceva stare seduta sugli scogli a guardare l’orizzonte e immaginavo la costa africana. Ho sempre sentito la sua vicinanza. Uno stesso mare in cui si bagnano popoli diversi ma molto vicini che nei secoli si sono mescolati, influenzati creando uno scambio culturale che ancora oggi si ritrova nella nostra architettura, nell’artigianato e persino nella nostra cucina.
La mostra “due sponde un solo mare” nasce quasi due anni fa guardando le immagini dei telegiornali sui continui sbarchi di migranti sulle nostre coste siciliane, e le notizie delle migliaia di morti nel nostro mare. Una strage quotidiana che però non ha fermato il flusso di viaggi della speranza. Ho sentito la necessità di riprendere in mano il tema del mediterraneo però con questo nuovo elemento in più. Una mostra che toccasse più aspetti: il tema del viaggio, del sogno di una vita diversa, della paura ma anche del fascino verso culture diverse.