domenica 24 febbraio 2013

L'amara cicuta che tocca all'Ellade

di Francesco De Palo

“Non è un sogno la vita - cantava l'inventore del rebetiko, Vassilis Tsitsanis, nel 1968 - né una festa. Stasera che ci siamo separati è solo un calice amaro”. Quarantacinque anni dopo quelle parole e quelle serate trascorse, tra sogni e arti, nell'incantevole Plaka ai piedi dell'Acropoli assieme a Melina Mercouri, Sotiria Bellou e anche il nostro Tognazzi, ben altro è il calice che tocca all'Ellade, ancora più amaro. Ieri il dopoguerra e la ricerca del benessere, i totalitarismi in terra di Grecia, l'avanzata del regime dei colonnelli. Oggi la cicuta del memorandum, da mandare giù il più rapidamente possibile, pena il default nel default, che già si è impossessato di un Paese intero e dei suoi cittadini, oppure da respingere (ma come?). Non sono ancora troppe le occasioni in cui si racconta cosa significhi esattamente crisi nella Grecia colonizzata, dalla troika da un lato e da una classe dirigente irresponsabile dall'altro. Perché i denari che Bce, Fmi e Ue hanno prestato ad Atene per l'85% vanno alle banche sotto forma di ricapitalizzazione e solo le briciole agli enti locali per pagare stipendi, pensioni e bollette della luce. E soprattutto non solo tutti sanno che non potranno essere restituiti, ma non mutano di una virgola il panorama attuale: disoccupazione record al 27% con un trend annuale che la porterà al 30%, aziende che chiudono come funghi, scioperi a tappeto da parte di tutte le categorie, università abbandonate da un numero sempre maggiore di studenti, impoverimento progressivo del ceto medio in virtù di tre tagli consecutivi a stipendi, pensioni e indennità, ong che agiscono già sul territorio per supplire alle deficienze “sociali” di uno Stato e del suo Parlamento, malati terminali che non trovano facilmente i farmaci salvavita di cui necessitano, cento farmacie chiuse in un anno per via dei debiti che lo stato ha con la categoria.
Ed ecco che, a fronte di una contingenza simile che fisiologicamente può soltanto peggiorare, a fare notizia sono i riverberi sociali di rapporto debito/pil e timori di nuove misure come tra l'altro non ha escluso il titolare dell'economia, presentando in Parlamento il maxi emendamento fiscale a medio termine 2013-2016. Sono i movimenti tellurici della società, i progressivi passi indietro che gli undici milioni di greci sono costretti a fare. Tornando a vivere in provincia dove il costo complessivo è inferiore rispetto alle grandi città, o scegliendo la dolorosa vita dell'emigrazione in Svezia o Germania, o chiedendo asilo ad anziani genitori per “abbattere” le spese fisse di luce e gas. Con una scena che dà la cifra di quale mutazione stia avvenendo nel paese, dove in alcuni giardini spuntano nuovi pollai appena costruiti, sintomo di una precisa volontà “casalinga” e di involuzione economica. Quando il costo della vita si eleva a target milanesi e, al contempo, i salari diventano irrimediabilmente bulgari, i cittadini si organizzano come possono.
Non è demagogia o populismo scagliare la prima pietra contro chi amministra, dal momento che gli squilibri appaiono enormi a fronte di sacrifici indicibili per cittadini e cittadine. Il pensiero corre a quei 35 deputati che hanno appena chiesto un prestito a condizioni favorevolissime alla banca della Camera, mentre molti imprenditori, fra i duemila suicidi da crisi registrati nell'ultimo biennio, non riuscivano ad ottenere neanche un centesimo in più dal proprio istituto di credito, o altro tempo per rientrare del “rosso”. O a coloro che affollano la Lista Lagarde degli illustri evasori, compresi quegli ex ministri che l'hanno occultata o manipolata mentre non pochi sono i greci che, non riuscendo a pagare l'Imu, sono costretti a svendere la propria abitazione. O a ministro e viceministro delle finanze che hanno sì varato una legge contro il cumulo delle pensioni da parte della casta ma con validità a partire dal 2013 salvando, di fatto, se stessi e tutta l'allegra brigata che dalle Olimpiadi del 2004 ad oggi ha speso ciò che non aveva, mentre i fondi pensione di alcuni ordini professionali sono a secco, prosciugati da qualche malsana operazione in stile Monte dei Paschi di Siena. Il tutto mentre solo ora il commissario Ue alla Salute Borg si accorge dei disservizi sanitari e va in missione nel paese per discutere di temi legati alla sicurezza della catena alimentare, dopo anni di oggettivo disinteresse; con milioni di euro scialacquati senza un ritorno effettivo per i territori; senza un regime di controlli severi da parte dell'euroburocrazia; dopo un'esagerato ricorso ai parchi eolici su cui ora la magistratura inizia ad indagare; con il rischio di un'agenda nascosta da parte del governo che non scopre le carte circa la modalità di investimenti internazionali che già ci sono, ma a fronte di un costo del lavoro irrisorio che fa fatturare solo i grandi nomi. Uno scenario sul quale si avventano, come felini affamati, le violenze estremiste: con i neonazisti di Alba dorata che sfondano quota 11% e si posizionano in pianta stabile come terzo partito del paese, e con nuovi episodi legati all'eversione che sono sfociati in conflitti con le forze dell'ordine e sgomberi forzati nei giorni successivi agli attacchi molotov contro la sede del partito di governo e contro un centro commerciale ateniese. E mentre alcuni docenti spagnoli nel protestare contro una riforma che sacrifica proprio gli studi classici avviano una campagna pro Grecia. Perché, scrivono in un lungo appello destinato ai social network, “greche sono le nostre radici, greci sono gli antichi testi che hanno aperto i nostri orizzonti. Eliminare quel bagaglio sarebbe come dire ai nostri studenti di non pensare”.
Racconta Esopo, nella favola del pescatore, che questi batteva l'acqua dopo aver teso le reti e sbarrato la corrente dall'una all'altra riva. E lo faceva con una pietra legata a una funicella, perché i pesci, fuggendo all'impazzata, andassero ad impigliarsi proprio tra le maglie. Ma uno degli abitanti del luogo lo richiamò perché in quel modo insudiciava il fiume e rendeva loro impossibile bere acqua limpida. L'altro replicò: “Ma se non intorbido così l'acqua, a me non resta che morir di fame”. Così anche negli Stati, per i demagoghi gli affari vanno bene specialmente quando riescono a seminare il disordine nel loro paese.
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Fonte
"Gli Altri"
settimanale del 22/02/13
Twitter@FDepalo

giovedì 14 febbraio 2013

Grecia: il silenzio ipocrita di un'Italia che vede solo urne


di Francesco De Palo

Chissà se qualcuno scriverà mai la parola fine su questo vero e proprio teatro dell’assurdo che sta andando in scena in Grecia. Dove, sebbene salari e pensioni siano stati "tagliati" per quattro volte in due anni da un memorandum suicida della troika, la corsa agli armamenti non si ferma. Anzi, raddoppia. Dal governo conservatore di Nea Dimokratia ma retto da altre due “gambe” anomale con socialisti del Pasok e sinistra democratica del Dimar, è stato dato l'ok all'ordine da dieci miliardi di euro per il 2013, tra carri armati, aerei e fregate. Con il radicale Alexis Tsipras rimasto l’unico ad alzare il dito per eccepire su scelte drammatiche e a fare opposizione seria in un parlamento assoggettato ai desiderata franco-tedeschi (si veda alla voce Siemens). Senza dimenticare uno dei maggiori produttori greci di armi, Russios, che casualmente è il parente dell’ex ministro delle Finanze Papacostantinou finito e poi depennato dall’illustre politico socialista nella lista Lagarde, l’elenco dei duemila evasori che hanno portato fuori dall’Ellade svariati miliardi di euro, direzione Svizzera. E che è stata pubblicata per la prima volta dall’inchiesta Kostas Vaxevanis, per questo arrestato e processato per direttissima. Non è la sceneggiatura del nuovo film di James Bond, dal titolo obbligato "Default". Ma la realtà. Dove i riverberi della crisi stanno terremotando tutte le fasce sociali tranne si super ricchi: le fabbriche abbandonate, le famiglie che tornano a costruire pollai nel giardino di casa per fare agricoltura, le università che si svuotano, le auto lasciate sul ciglio della strada senza targa (per non pagare l'assicurazione sempre più salata), le Camere di Commercio ridotte al nulla. E gli aspetti "sociali": i neonazisti di Alba dorata all'11% che fanno le ronde contro gli immigrati e allestiscono banchetti di cibo per soli poveri greci, i gruppi di anarchici che tornano allo scontro armato con la polizia.
Ma il dato più inquietante di un panorama così crudo e che è sinonimo di macelleria sociale, è dato da un Paese sordo al mondo, a quell'Italia che ha negli occhi solo le urne e si disinteressa del resto. Insomma, un pugno in faccia.

sabato 9 febbraio 2013

Transizione tunisina, verso la deriva? L’uccisione di Choukrî Bilăïd getta il paese nello sconcerto

Una nota di Ilaria Guidantoni, autrice di "Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia", in relazione agli eventi che hanno interessato la Tunisia nei giorni scorsi.

Il primo omicidio politico dopo la rivolta del 14 gennaio 2011, anzi il secondo, ma del primo quasi nessuno ha voluto parlarne come se il silenzio annullasse le scosse di terremoto: non si trattava di movimenti tellurici di assestamento quanto del preludio di una nuova deflagrazione. Sconcertante sì, inattesa no. Preparata inoltre, vista la facilità plateale dell’accaduto. Il clima era quello di un andamento lento verso uno scontro frontale tra laici-laicisti e religiosi tradizionalisti, che tante volte avevo sperato si evitasse nel segno del dialogo e della composizione. Purtroppo il compromesso storico dell’alleanza di governo era fallito da tempo e le due forze in campo erano di fatto separate in casa. Chiunque sia il responsabile o i responsabili – politici e materiali esecutori, che non è detto siano propriamente coincidenti – è certo che hanno reso un cattivo servizio, al paese moralmente e anche al governo, semmai da lì provenissero: la spaccatura di EnnahDa, dimissioni e caduta di fatto del governo lo dimostrano. L’invito è a non farsi prendere dall’onda delle emozioni e dell’emotività e provare a ripartire interpretando, forse un po’ cinicamente, questo dolore come una necessità storica, nell’ottica della dialettica hegeliana. Il sacrificio di un uomo giusto e di esempio potrebbe essere il detonatore non della guerra civile ma dell’appello alla responsabilità civile della popolazione. In tal senso l’abbraccio collettivo, l’invito al dialogo sui valori essenziali della tutela dei diritti e piani operativi per il lavoro (cavallo di battaglia della nahDa in campagna elettorale) sono i punti dai quali ripartire. In questo momento il paese conta soprattutto sui movimenti per la tutela dei diritti e in particolare è alle donne  che spetta un compito di richiamo alla concretezza e di invito alla calma – come all’indomani della rivolta – mentre i giovani, stando a quanto si legge sulla rete sono (comprensibilmente) preda di sconcerto, rabbia ed emozioni incontrollate. Un’altra ancora di salvezza ritengo sia l’UGTT (uno dei sindacati più importanti del mondo arabo con oltre mezzo milione di iscritti): lo strumento concreto per stabilizzare il paese. E’ il momento che l’Europa faccia arrivare forte la propria voce e il proprio sostegno non per gridare all’allarme di deriva islamica, termine confuso per altro, ma per invitare a trasformare la rabbia nell’impegno. Parole confortanti di dialogo che richiamano alla tradizione autentica tunisina, una società multiculturale e multicolore, sono giunte dall’Arcivescovo di Tunisi e dalla Chiesa italiana. Ma la voce deve alzarsi: non puntiamo il dito contro qualcuno ma tendiamo una mano a qualcuno. La giustizia poi faccia il proprio corso mentre sembra latitare. Al di là del colpevole, le responsabilità sono sempre collettive. Smettiamola di fare pronostici e scommesse che non rendono giustizia ad un martire. L’ipotesi del governo tecnico potrebbe essere la soluzione estrema per ricostruire la macchina statale e il mercato del lavoro. Si sa che si tratterebbe di un intervento in emergenza con tutte le conseguenze del caso. In questo momento mantenere la sicurezza, offrendo qualche spiraglio è l’unica via. Attenzione però a cercare di sedare un popolo arrabbiato: il rimedio può essere peggiore del male. Gli episodi di scontri con la polizia sono un allarme. Speriamo che l’esercito funzioni da cuscinetto come due anni fa.