14 gennaio 2014 Francesco de Paolo
Il bello: un antico concetto nell’Ellade che stava ad incarnare la predisposizione dell’animo umano per la bellezza. Benzina per avviare un percorso, icona di un un mondo nuovo ed efficiente, simbolo di una cultura ed una civiltà, quella Mediterranea frutto di quella greca e romana, che è punto nativo del mondo.
Fin dalla Antica Grecia “il bello” era considerato come il pan della riflessione; il punto non era dire esplicitamente ciò che era bello e ciò che non lo era, ma, come diceva Platone stesso, definire “cosa è il bello”. Per Platone la bellezza doveva essere atemporale, perfetta e per questo era parte costitutiva delle Idee: l’origine di tutte le cose. Quanto spazio c'è oggi per il bello nell'Italia -patrimonio dell'umanità- che non ha saputo valorizzare adeguatamente la propria cultura?
Guardare alla cultura italiana come a una risorsa industriale formando manager della cultura da impiantare nei ministeri e far fruttare l'immenso patrimonio italiano, per far tornare l'Italia al primo posto delle mete turistiche mondiali (siamo dietro Francia e Cina). Immaginare il turismo culturale come una molla su cui edificare il tessuto occupazionale che oggi non trova sbocchi e come un doppio investimento: che arricchisce in quanto cultura nel solco dell'abitudine ellenica della formazione dei paedià e che produce pil.
L’obiettivo deve essere quello di sviluppare non solo una forma di cultura dal basso che incarni l’essenza stessa del patrimonio italiano, ma che finalmente rompa un assurdo tabù: che con la cultura non si “mangi”. Quando invece, proprio attraverso il dna del nostro Paese, è possibile arricchire l’offerta verso l’esterno e al contempo investire in un progresso qualitativo interno. E farlo nel bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi, avrebbe un sapore diverso, alto.
L'articolo integrale di Francesco De Palo su Mondogreco.net
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