Luoghi da
vivere, itinerari emozionali
Per i sentieri delle muse nella Puglia
di Federico – Educational Bisceglie
Sophie
Moreau
Cinque
giorni per i sentieri della Puglia, un itinerario rivolto alla stampa
turistica, promossa dal Comune di Bisceglie con il sostegno del Circolo dei
Lettori e il Presidio dei Libri locali, con l’idea di far vivere il luogo in
tutti i suoi aspetti, più che raccontarlo. Giornalisti italiani e tedeschi
hanno condiviso alcune giornate lungo i sentieri delle muse nella Puglia di Federico
II, figura illuminata, il cui simbolo architettonico è Castel Del Monte,
costruzione intrisa di sapere esoterico.
Il
percorso si è articolato tra monumenti, religiosi, come la Sagra di Santa Maria
di Zappino, processione solenne che si svolge nei campi in onore della Vergine
di Zappino, venerata per la salubrità dei campi e la pioggia feconda; e non,
tra natura e tradizione, con un’attenzione particolare ai sapori, simbolo della
cultura locale, come l’olio. E’ stato infatti organizzato un pranzo in un
frantoio. Tra le tappe da segnalare la visita alla Pinacoteca “De Nittis” nel
Palazzo della Marra, a Barletta con la partecipazione della storica dell’arte
Christine Farese Sperken curatrice del Catalogo Generale Giuseppe De Nittis
Barletta (2016, ed. Adda). Il celebre poeta è stato uno dei tre
“impressionisti” italiani a Parigi insieme a Zandomeneghi e Boldini. In
occasione dell’iniziativa per la stampa è stata organizzata una lettura
scenica, a cura dell’attrice Nunzia Antonino e del regista Carlo Bruni
(direttore del Teatro Garibaldi di Bisceglie), con musiche dalle lettere – Notes et souvenirs – in anteprima
nazionale
La
manifestazione si è conclusa al ristorante Verde Matematico con una cena
degustazione, promossa dalla professoressa Rosa Leuci del Circolo dei Lettori
di Bisceglie, vera partigiana dei libri e della lettura, preceduta dalla
conversazione della scrittrice e giornalista, sommelier Ilaria Guidantoni, che ha
raccontato i “Sapori e saperi del Mediterraneo”. E’ stato un viaggio tra
cultura e cucina con l’accento posto sulle corrispondenze e le matrici comuni
che si rincorrono linguisticamente a tavola in un gioco di rimandi.
(da sinistra l'attrice Nunzia Antonino, la scrittrice Ilaria Guidantoni, la professoressa Rosa Leuci e la proprietaria di Palazzo Lupicini Giulia Mastrogiacomo)
Un breve estratto della relazione di Ilaria Guidantoni: La Cucina non è solo un insieme di
ricette e cibo per il corpo ma insieme di saperi e nutrimento dell’anima: la
tavola traccia dei confini di comunità non solo religiose, di linguaggi, abitudini,
di sfere sociali. Si conferma così il detto secondo il quale la civiltà di un
popolo si vede a tavola e i migliori affari si fanno a tavola ma anche la
simbologia legata al mondo famigliare ed erotico che con il cibo ha una sua
specificità. Non a caso i disturbi del comportamento alimentare – anoressia,
bulimia, il fenomero degli iperfagici prandiali, divoratori di carboidrati,
mangiatori notturni, o ancora appassionati di junkle food e alcolisti
denunciano disagi del comportamento affettivo. La cucina ci
accompagna tutta la vita ed esiste un cibo della morte, l’ultimo, quello che
accompagna il defunto e che è solitamente dolce per addolcire la morte e la
separazione per chi resta.
Nel mondo mediterraneo questo vale ancora di più, come
illustra lo stesso vocabolario: sapere e sapore rimandano a una radice comune, il sale, quello del mare, ‘als in greco che è anche
uno dei nomi del mare nostrum per gli Elleni, il mare interno. Il sale è il
cuore del cibo perché è ciò che da sapore al nutrimento e per estensione gusto
alla vita, è stato moneta di scambio e ancora primo e migliore conservante, già
dal garum nigrum dei Romani.
E’ il sale che porta il Mediterraneo lontano dalle coste per cui nella cucina
tradizionale in Abruzzo e in certi territori dell’interno relativamente
prossimi al mare è quello tipicamente sotto sale, sardine (una grande tradizione è in Algeria), aringhe e baccalà che ancora a Firenze negli anni Sessanta era
praticamente l’unico pesce consumato. Lo stesso termine arabo per indicare il mediterraneo
rimanda al bianco della spuma, della purezza e del sale. Il sale del
Mediterraneo è il ghiaccio del nord prima dei frigoriferi: l’espressione
scaldare il cuore in arabo si dice letteralmente «raffreddare il cuore».
Un viaggio nelle corrispondenze e differenze fra le tre religioni del Libro e molto altro, tra fiori, frutti e piatti del “mare bianco di mezzo”.
La cucina in questa
parte del mondo è stata consacrate, nel senso stretto del termine, dalle tre
religioni del libro che definiscono radici comuni e insieme stabiliscono
confini tra di loro, affondando le proprie origini in alcune abitudini del
mondo greco.
Prima di affrontare
nello specifico il tema di oggi passiamo alla seconda parte del titolo e
concentriamoci sul nostro orizzonte, il Mediterraneo.
Il termine evidenzia un continente liquido che come dice lo stesso termine in
più lingue e questo fa sì che le corrispondenze siano più delle differenze, con
una corrispondenza molto forte nei
sapori a livello naturale-geografico.
Fin dove arriva il Mediterraneo? Questo si domanda Predrag Matvejevic: «Le frontiere vere del Mediterraneo,
infatti, non sono statali e neanche storiche, sono quelle appunto geografiche,
autentiche: ad esempio delle coltivazioni dell’ulivo, del mandorlo, del fico e
del melograno…fin dove va il fico senza diventare selvaggio, lì arriva il
Mediterraneo; così come fin dove va il melograno senza diventare acido; e ancora,
fin dove è coltivabile l’ulivo e, sull’altra sponda, la palma da dattero.»
D’altronde La scrittrice Sonya Orfalian, armena….racconta
che la cucina è regionale e che la cultura è stata soprattutto tramandata con
le ricette e le fiabe nate intorno al focolare…Ogni fiaba finisce con «caddero
tre mele, una per chi ha raccontato la storia, una per chi l’ha ascoltata e una
per la storia»
“A mio parere occorre andare oltre e pensare che il Mediterraneo non è solo
la costa ma quel territorio che anche distante ne avverte ancora l’influsso
climatico e metaforico. Così esistono anche in Italia regioni che sono
praticamente penisole, come la Calabria,
che però hanno più il carattere di un’isola e, nello stesso tempo, fatta
eccezione per Reggio Calabria, presentano caratteristiche tipiche di un
territorio dell’interno ad esempio a livello culinario. È infatti l’unica
regione meridionale dov’è molto diffuso il consumo di maiale ed ha una
specificità che è l’allevamento della razza podolica, nota soprattutto per il
latte dal quale si ricava il formaggio tipico caciocavallo, importato dai
Longobardi.” Della Sardegna potremmo dire altrettanto, isola di pastori più che
di pescatori, perché quest’ultima è nota soprattutto per il corallo, tonno a
parte.
E il gioco delle influenze non è sempre facile da rintracciare. Penso
a quello che racconta l’antropologa e scrittrice tunisina, Lilia Zaouali, alla quale in un’intervista chiesi qual è il piatto
tipico tunisino che nel suo immaginario la rappresenta.
“La chermoula, una salsa a base di uva passa,
cipolla, spezie, aceto e zucchero, condimento essenziale del pesce preparato
per la festa che segue la fine del Ramađan. Questa preparazione deriva
anche nel termine da ‘salmoriglio’ e ricorda le salse agrodolce descritte da
Apicio, nel suo De Re Coquinaria. Questo piatto eccezionale è diffuso in
tutte le città costiere, che furono empori fenici prima di diventare
cartaginesi per poi far parte dell’Impero romano, da Sfax alle isole Kerkenna,
all’isola di Djerba, quindi a Bizerte. A proposito dell’agrodolce, la cosa
curiosa è che in Italia questo gusto scomparve e poi fu reintrodotto dagli Arabi
di Sicilia col nome scapece che deriva dal Sikbadj che andava di moda
nell’impero abbasside”.
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