martedì 20 novembre 2012

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Sidi Bou Said - Tunisi

di Emilio Borelli*

E' l'epigrafica dichiarazione di Sophie, la protagonista di Tunisi taxi di sola andata, il  suo libro più recente, che ci fornisce la chiave per interpretare – ben oltre che non il libro – l'intento di Ilaria Guidantoni. E' la superficialità ed il fondamentale disinteresse dei tanti, troppi intellettuali verso l'altra sponda del Mediterraneo, quasi considerato alla stregua dell'altra faccia – davvero –della luna, a stimolare, mettere in moto un processo che dalla vicenda personale e grazie alla vicenda personale della scrittrice stessa riesce ad inanellare in una quotidianità regolata dalla scansione nordafricana tutta una serie di avvenimenti che riesce difficile poter credere siano concentrati nel brevissimo arco temporale coperto dalla sua cronaca dei giorni del dopo Ben Ali. 
Riesce difficile poterlo concepire a chi non abbia una consuetudine con quei luoghi e quelle società.
Ilaria ha da tempo - a quanto credo – deciso cosa farà da grande, proprio per contrasto a quella superficialità che taluni hanno superata purtroppo solo in apparenza, quasi accademicamente, prendendo atto dei cambiamenti repentini determinati nel corso delle cosiddette Primavere arabe.
Al di là dell'analisi che Ilaria sviluppa in merito a queste ultime ed alla società tunisina, analisi e considerazioni che possono essere condivisibili quanto opinabili, quello che la scrittrice ci offre è un cannocchiale inclinato secondo un angolo di visuale che è unico e privilegiato: l'angolo di visuale di chi c'era. Chi ha vissuto la trasformazione di una quotidianità vivendola giorno per giorno, sulla pelle, chi ha realmente avuto modo di scambiare opinioni al mercato o in taxi o in famiglia (gli europei in Nordafrica o vivono da esuli esclusi dal contesto sociale o sono assorbiti in simbiosi dalle famiglie di amici più prossimi, delle quali spesso si trovano a condividere le ritualità, riscoprendo anche le più elementari radici comuni in ambito spirituale), può trasformarsi in un testimone di straordinario peso.
Ilaria si è ritrovata senza alcuno sforzo – credo – ad indossare questa veste, che le si è in realtà cucita addosso, aderendole alla pelle, ma non per un vezzo o nostalgia tardorientalista quanto proprio per renderla strumento di condivisione, veicolo di una riflessione più vasta ed articolata che possa mettere in relazione – di nuovo e per davvero – le due sponde.
Il Nordafrica e l'Africa sono da sempre volutamente fraintesi ed oggetto di speculazione intellettuale prima ancora che economica, l'ignoranza istituzionalizzata della storia di quelle contrade, della spiritualità di quelle collettività, costituisce da secoli elemento determinante della cesura - più che geografica – tra esse e l'Europa.
In Libia
Di volta in volta il linguaggio di quelle genti è inteso come aspro, violento, un parlare che è più gridato ed adatto alle contese oppure – per contrasto – fin troppo languido e poetico, fuori del tempo come fuori del tempo appare la parentesi di Beit al Hikma, l'era dei califfati di Baghdad  ed il trionfo dei componimenti erotici da Mille e una notte. Tutto e il contrario di tutto.
Il bianco o il nero, per noi più avvezzi – come citava un cinico Al Pacino in un ormai datato City Hall – a tutte le sfumature del grigio, assumono un diverso spessore nel quotidiano di vita reale della società nordafricana, ed Ilaria è presente, ed anche per questo riesce a dischiudere per noi quelle porte che, nelle ruelles di Sidi Bou Said, proteggono gelosamente l'essenza di altre preziose intimità.
Dicevo poco sopra che Ilaria ha già deciso cosa far da grande, ovviamente è un compito ambizioso quello di aprire un dibattito, un dialogo, sulla società, tra due sponde di un mare che da via di comunicazione si è voluto far regredire ad ostacolo insormontabile, solcato come cento o duecento anni addietro  dalle cannoniere, in molti e ben blasonati infatti hanno argomentato negli ultimi mesi ed anni di Mediterraneo ma il più delle volte si è trattato di vuota, strumentale tautologia; Ilaria Guidantoni si differenzia da questa pletora oltre che per la sua formazione culturale per un ulteriore dettaglio che è in realtà un atout difficilmente superabile: lei sa di cosa parla perché lei c'era.
Nell'epoca dei millantatori e dei “filosofi” dell'interventismo guerrafondaio e petrolchimico riuscirà questa donna determinata a timonare il buonsenso dall'oltremare fino alle nostre coste?
Mumkin. Inch'Allah. (Forse. Se Dio lo vorrà).

Emilio Borelli al mathendusch
*Emilio Borelli, fiorentino. Sono ormai trent'anni che ha iniziato un suo lungo e articolato percorso in più fasi attraverso l'Africa ed in particolare le regioni del Sahara. Da quando, studente di Architettura, aveva iniziato ad attraversare quelle regioni a bordo di un Land Rover di quinta mano collezionando imprevisti e ingenue scoperte, molte cose sono cambiate e un approccio di fascinazione si è andato trasformando in un cammino a tappe forzate verso quel qualcosa di non codificato e non tangibile che l’uomo da sempre insegue. Ancora oggi il suo viaggio continua, sempre aggiornandosi di interessi e definendosi nuovi obiettivi. Dalla sua notevole confidenza con il deserto e la sua gente ha iniziato nel 2004 a trarre gli spunti per la regolare pubblicazione del calendario fotografico "Ambiance" e nel 2007 ha pubblicato "La notte al Sahara è cielo", la sua prima raccolta di racconti di viaggio. Ultimi titoli pubblicati: "Lettera da Agadez", "Racconti sahariani", "Libia: sull’orlo del vulcano" (Polaris, 2011) e "Libia il naufragio dell'Europa" (aprile 2012).

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