venerdì 28 aprile 2017

Luoghi da vivere. Per i sentieri delle muse nella Puglia di Federico

Luoghi da vivere, itinerari emozionali

Per i sentieri delle muse nella Puglia di Federico – Educational Bisceglie
Sophie Moreau


Cinque giorni per i sentieri della Puglia, un itinerario rivolto alla stampa turistica, promossa dal Comune di Bisceglie con il sostegno del Circolo dei Lettori e il Presidio dei Libri locali, con l’idea di far vivere il luogo in tutti i suoi aspetti, più che raccontarlo. Giornalisti italiani e tedeschi hanno condiviso alcune giornate lungo i sentieri delle muse nella Puglia di Federico II, figura illuminata, il cui simbolo architettonico è Castel Del Monte, costruzione intrisa di sapere esoterico.
Il percorso si è articolato tra monumenti, religiosi, come la Sagra di Santa Maria di Zappino, processione solenne che si svolge nei campi in onore della Vergine di Zappino, venerata per la salubrità dei campi e la pioggia feconda; e non, tra natura e tradizione, con un’attenzione particolare ai sapori, simbolo della cultura locale, come l’olio. E’ stato infatti organizzato un pranzo in un frantoio. Tra le tappe da segnalare la visita alla Pinacoteca “De Nittis” nel Palazzo della Marra, a Barletta con la partecipazione della storica dell’arte Christine Farese Sperken curatrice del Catalogo Generale Giuseppe De Nittis Barletta (2016, ed. Adda). Il celebre poeta è stato uno dei tre “impressionisti” italiani a Parigi insieme a Zandomeneghi e Boldini. In occasione dell’iniziativa per la stampa è stata organizzata una lettura scenica, a cura dell’attrice Nunzia Antonino e del regista Carlo Bruni (direttore del Teatro Garibaldi di Bisceglie), con musiche dalle lettere – Notes et souvenirs – in anteprima nazionale

La manifestazione si è conclusa al ristorante Verde Matematico con una cena degustazione, promossa dalla professoressa Rosa Leuci del Circolo dei Lettori di Bisceglie, vera partigiana dei libri e della lettura, preceduta dalla conversazione della scrittrice e giornalista, sommelier Ilaria Guidantoni, che ha raccontato i “Sapori e saperi del Mediterraneo”. E’ stato un viaggio tra cultura e cucina con l’accento posto sulle corrispondenze e le matrici comuni che si rincorrono linguisticamente a tavola in un gioco di rimandi.
 (da sinistra l'attrice Nunzia Antonino, la scrittrice Ilaria Guidantoni, la professoressa Rosa Leuci e la proprietaria di Palazzo Lupicini Giulia Mastrogiacomo)


Un breve estratto della relazione di Ilaria Guidantoni: La Cucina non è solo un insieme di ricette e cibo per il corpo ma insieme di saperi e nutrimento dell’anima: la tavola traccia dei confini di comunità non solo religiose, di linguaggi, abitudini, di sfere sociali. Si conferma così il detto secondo il quale la civiltà di un popolo si vede a tavola e i migliori affari si fanno a tavola ma anche la simbologia legata al mondo famigliare ed erotico che con il cibo ha una sua specificità. Non a caso i disturbi del comportamento alimentare – anoressia, bulimia, il fenomero degli iperfagici prandiali, divoratori di carboidrati, mangiatori notturni, o ancora appassionati di junkle food e alcolisti denunciano disagi del comportamento affettivo. La cucina ci accompagna tutta la vita ed esiste un cibo della morte, l’ultimo, quello che accompagna il defunto e che è solitamente dolce per addolcire la morte e la separazione per chi resta.
Nel mondo mediterraneo questo vale ancora di più, come illustra lo stesso vocabolario: sapere e sapore rimandano a una radice comune, il sale, quello del mare, ‘als in greco che è anche uno dei nomi del mare nostrum per gli Elleni, il mare interno. Il sale è il cuore del cibo perché è ciò che da sapore al nutrimento e per estensione gusto alla vita, è stato moneta di scambio e ancora primo e migliore conservante, già dal garum nigrum dei Romani. E’ il sale che porta il Mediterraneo lontano dalle coste per cui nella cucina tradizionale in Abruzzo e in certi territori dell’interno relativamente prossimi al mare è quello tipicamente sotto sale, sardine (una grande tradizione è in Algeria), aringhe e baccalà che ancora a Firenze negli anni Sessanta era praticamente l’unico pesce consumato. Lo stesso termine arabo per indicare il mediterraneo rimanda al bianco della spuma, della purezza e del sale. Il sale del Mediterraneo è il ghiaccio del nord prima dei frigoriferi: l’espressione scaldare il cuore in arabo si dice letteralmente «raffreddare il cuore».
Un viaggio nelle corrispondenze e differenze fra le tre religioni del Libro e molto altro, tra fiori, frutti e piatti del “mare bianco di mezzo”.
La cucina in questa parte del mondo è stata consacrate, nel senso stretto del termine, dalle tre religioni del libro che definiscono radici comuni e insieme stabiliscono confini tra di loro, affondando le proprie origini in alcune abitudini del mondo greco.
Prima di affrontare nello specifico il tema di oggi passiamo alla seconda parte del titolo e concentriamoci sul nostro orizzonte, il Mediterraneo. Il termine evidenzia un continente liquido che come dice lo stesso termine in più lingue e questo fa sì che le corrispondenze siano più delle differenze, con una corrispondenza molto forte nei sapori a livello naturale-geografico.
Fin dove arriva il Mediterraneo? Questo si domanda Predrag Matvejevic: «Le frontiere vere del Mediterraneo, infatti, non sono statali e neanche storiche, sono quelle appunto geografiche, autentiche: ad esempio delle coltivazioni dell’ulivo, del mandorlo, del fico e del melograno…fin dove va il fico senza diventare selvaggio, lì arriva il Mediterraneo; così come fin dove va il melograno senza diventare acido; e ancora, fin dove è coltivabile l’ulivo e, sull’altra sponda, la palma da dattero.»
D’altronde La scrittrice Sonya Orfalian, armena….racconta che la cucina è regionale e che la cultura è stata soprattutto tramandata con le ricette e le fiabe nate intorno al focolare…Ogni fiaba finisce con «caddero tre mele, una per chi ha raccontato la storia, una per chi l’ha ascoltata e una per la storia»
“A mio parere occorre andare oltre e pensare che il Mediterraneo non è solo la costa ma quel territorio che anche distante ne avverte ancora l’influsso climatico e metaforico. Così esistono anche in Italia regioni che sono praticamente penisole, come la Calabria, che però hanno più il carattere di un’isola e, nello stesso tempo, fatta eccezione per Reggio Calabria, presentano caratteristiche tipiche di un territorio dell’interno ad esempio a livello culinario. È infatti l’unica regione meridionale dov’è molto diffuso il consumo di maiale ed ha una specificità che è l’allevamento della razza podolica, nota soprattutto per il latte dal quale si ricava il formaggio tipico caciocavallo, importato dai Longobardi.” Della Sardegna potremmo dire altrettanto, isola di pastori più che di pescatori, perché quest’ultima è nota soprattutto per il corallo, tonno a parte.

E il gioco delle influenze non è sempre facile da rintracciare. Penso a quello che racconta l’antropologa e scrittrice tunisina, Lilia Zaouali, alla quale in un’intervista chiesi qual è il piatto tipico tunisino che nel suo immaginario la rappresenta.
“La chermoula, una salsa a base di uva passa, cipolla, spezie, aceto e zucchero, condimento essenziale del pesce preparato per la festa che segue la fine del Ramađan. Questa preparazione deriva anche nel termine da ‘salmoriglio’ e ricorda le salse agrodolce descritte da Apicio, nel suo De Re Coquinaria. Questo piatto eccezionale è diffuso in tutte le città costiere, che furono empori fenici prima di diventare cartaginesi per poi far parte dell’Impero romano, da Sfax alle isole Kerkenna, all’isola di Djerba, quindi a Bizerte. A proposito dell’agrodolce, la cosa curiosa è che in Italia questo gusto scomparve e poi fu reintrodotto dagli Arabi di Sicilia col nome scapece che deriva dal Sikbadj che andava di moda nell’impero abbasside”.


Le citazioni sono tratte dai suoi libri, Corrispondenze mediterranee, viaggio nel sale e nel vento (Oltre Edizioni), Lettera a un mare chiuso per una società aperta (Albeggi Edizioni) e dal alcuni articoli per la rivista Nutrito. 

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