lunedì 21 ottobre 2013
Editoriaraba - Di fortezze, frontiere, viaggi e parole
Tante, tantissime parole sono state pronunciate e scritte nelle ultime settimane a proposito delle centinaia di uomini, donne e bambini che, partiti dalle coste del Mediterraneo del Sud, hanno trovato la morte a poche centinaia di metri dalle coste della nostra Lampedusa. Come ha scritto Gabriele del Grande, questa è una “guerra che l’Europa combatte ogni giorno in frontiera, contro i poveri che rivendicano il diritto alla mobilità disobbedendo alle nostre folli leggi sull’immigrazione”.
E si è fatto un gran parlare anche delle condizioni di viaggio dei migranti e dei profughi, della sofferenza, del disagio, del dolore, delle speranze e di quel sogno di una vita (non migliore, a volte proprio il sogno di una vita e basta) che li spinge a prendere la decisione di affidarsi ai trafficanti, e affrontare il mare per raggiungere l’Italia, la terra promessa.
Per capirli, forse sarebbe bastato leggere gli scrittori arabi, in particolare i nordafricani, che scrivono di viaggi e migrazioni già da un bel po’.
Oltre a libri che parlano del Mediterraneo, nell'articolo ci sono anche due brani che parlano di altre frontiere, per non dimenticarci che in tutto il mondo ogni giorno centinaia di persone rischiano la propria vita per oltrepassare le frontiere delle tante fortezze di questa Terra.
Tahar Ben Jelloun, Partire
Parecchie di queste ragazze erano innamorate di Azel, ma lui le scoraggiava dicendo loro la verità a proposito della sua situazione: “Ho ventiquattro anni, sono laureato, non ho un lavoro, non ho soldi, non ho una macchina, sono un caso umano, sì, sono anch’io alla deriva, pronto a tutto pur di andarmene, pur di vedere questo paese solo in cartolina (…). Io ho già tentato di attraversare i quattordici chilometri che ci separano dall’Europa, ma sono stato truffato; e, comunque sia, ho avuto più fortuna di mio cugino Noureddine, che è annegato a pochi metri da Almeria, non so se mi spiego”. Le ragazze lo ascoltavano, e alcune di loro piangevano. Venivano tutte da famiglie in cui qualche parente aveva tentato di partire allo stesso modo. (traduzione dal francese di A. M. Lorusso, Bompiani 2008)
Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole
Nessuno dei quattro aveva voglia di parlare, non solo perché la fatica li aveva stremati, ma perché ognuno era immerso a fondo nei propri pensieri. L’enorme camion fendeva la strada insieme con i loro sogni, le loro famiglie, le loro ambizioni e le loro speranze, miseria e disperazione, forza e debolezza, passato e futuro, come se stessero spingendo un’immensa porta verso un nuovo destino sconosciuto. Tutti gli occhi erano puntati sulla superficie di quella porta, come ad essa legati da fili invisibili. (traduzione dall’arabo di I. Camera D’Afflitto, Sellerio, prima edizione 1991)
Fouad Laroui, Essere qualcuno, in “L’esteta radicale”
Vedono passare delle barche lontano, delle navi cisterna, dei traghetti. Dopo il freddo della notte, adesso è il sole che li acceca e brucia loro gli occhi. (…) Di quando in quando dei delfini vengono in gruppo a fare delle capriole davanti alla barca, per poi andarsene. Lahcen è affascinato da questi animali che non aveva mai visto in vita sua e che sembrano divertirsi mentre lui soffre atrocemente. Vale meno di un animale? (traduzione dal francese di C. Vezzaro, Del Vecchio Editore 2013)
Hassan Blasim, Il camion per Berlino, in “Il matto di piazza della Libertà”
Il camion per Berlino, pero, questa volta non proseguì il suo viaggio notturno se non per cinque ore, poi si arrestò di colpo, fece inversione e tornò sui suoi passi ad una velocità folle. Nell’oscurità, i giovani sentirono una stretta al cuore. (…) Si misero a bisbigliare. Alcuni recitavano preghiere o versetti del Corano, tra sé e sé o a voce appena percettibile. Un ragazzo si mise a ripetere ad alta voce il versetto del Trono. La sua bella voce era però guastata da un tono piagnucoloso che accresceva l’angoscia degli altri passeggeri. (traduzione dall’arabo di B. Teresi, Il Sirente 2012)
Laila Lalami, La speranza e altri sogni pericolosi
“Tutti fuori dalla barca, ora!”, grida Rahal. “Da qui in poi dovete continuare a nuoto”. Aziz si lascia immediatamente cadere in acqua e comincia a nuotare. Come gli altri passeggeri, Murad si limita invece a guardare stupefatto il capitano. Si aspettava di essere portato fino a riva, dove avrebbe potuto facilmente disperdersi e poi nascondersi. L’idea di dover nuotare fino alla costa è terribile, soprattutto per chi non è originario di Tangeri e non è abituato alle sue acque”. (traduzione dall’inglese di M. G. Cavallo, Fusi orari 2007)
Rachid Nini, Diario di un clandestino
Ieri è naufragato un barcone. L’ho visto in tivù. Come navi stremate, sulla costa rocciosa giacevano sette cadaveri. Stavo mangiando quando mi sono ritrovato davanti quelle immagini e, di colpo, mi è passata la fame. C’era qualcuno che li trascinava fino alla spiaggia e li copriva con dei teli. I corpi fradici erano stati messi in fila uno accanto all’altro. (traduzione dall’arabo di C. Albanese, Mesogea 2011)
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