Al Festival Internazionale di Ferrara Elias Khoury ha parlato di letteratura insieme alla Prof.ssa Bartuli, arabista, traduttrice, docente dell’Università di Venezia nonché sua “voce” in italiano.
di Giacomo Longhi
A Ferrara, il Festival di Internazionale ha avuto quest’anno un ospite d’eccezione: lo scrittore e intellettuale libanese Elias Khoury. Tra le maggiori voci intellettuali del mondo arabo, Elias Khoury oltre ad essere romanziere è giornalista e professore di Letterature comparate alla New York University. Internazionale traduce e pubblica periodicamente le column settimanali che scrive per il quotidiano panarabo al-Quds al-Arabi e lo ha invitato quest’anno a partecipare a due panel, uno più politico, e il secondo dedicato alla sua attività di scrittore.
Sabato scorso, davanti a un pubblico straripante (Editoriaraba e altri non sono riusciti ad accedere all’evento), Khoury ha quindi dialogato con Gad Lerner di politica in Medio Oriente. Domenica pomeriggio, invece, in una sala sempre al completo, l’autore di Il viaggio del piccolo Gandhi è stato intervistato da Elisabetta Bartuli, la traduttrice di Elias Khoury in Italia, accompagnando il pubblico in un affascinante viaggio letterario.
L’intervento di Elisabetta Bartuli è partito dall’analisi dell’ultimo romanzo di Khoury, Sinalcol (2011), in corso di traduzione in italiano: Bartuli ha osservato come quest’opera concluda il pensiero dell’autore sulla guerra civile libanese. Il titolo (dallo spagnolo “senz’alcol”) è ispirato al nome di un leggendario combattente, la cui ombra aleggia sulla storia dei due fratelli protagonisti del romanzo. Fortemente legati al padre, in apparenza simili ma profondamente diversi, durante la guerra andranno a combattere su fronti opposti: uno si unirà alle milizie fasciste, l’altro a quelle di sinistra. Col loro incontro, dieci anni dopo, comincia un percorso a ritroso nei ricordi che, dagli anni Cinquanta a oggi, traccia la storia della generazione che nella guerra civile è andata incontro al proprio fallimento. Ma Sinalcol è anche un’animatissima tale of two cities, Beirut e Tripoli, luoghi simbolo delle contraddizioni libanesi.
Sebbene i romanzi di Khoury sembrino ancorati ad un localismo preciso, i loro significati sono universali. È questo, secondo Elisabetta Bartuli, il pregio della buona letteratura: prestarsi a più letture e, usando le parole di Khoury, “poter migrare".
“Se i testi non migrano non hanno valore” ha affermato lo scrittore, il quale ha anche ricordato come quella che a suo avviso è la più grande opera letteraria mai scritta, Le mille e una notte, non sia altro che il risultato di migrazioni letterarie.
Scritte in arabo, Le mille e una notte sono anche persiane, indiane e cinesi. Khoury rifiuta l’idea di una letteratura autentica, ancorata a un’identità nazionale. La letteratura, per sua natura, è ambigua, sfugge alle classificazioni. Altrimenti, non sarebbe stato possibile per Khoury assistere a New York ad una rappresentazione teatrale sui migranti in America Latina dove ogni singola battuta era tratta da La porta del sole.
Se il romanzo che racconta la storia Palestina, dalla Nakba agli accordi di Olso, è valso al nostro autore il riconoscimento del grande pubblico, la presa di coscienza di essere, sì, un vero scrittore è avvenuta per Khoury scrivendo Facce bianche, il romanzo che narra dell’esperienza palestinese in Libano durante la guerra. Beirut allora era in piena guerra civile e Khoury militava nei gruppi di sinistra vicini all’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina).
Quando il romanzo uscì nel 1982 l’OLP lo mise all’indice per le forti critiche espresse sul movimento.
“È stato l’unico libro che l’OLP abbia mai censurato. Ho realizzato solo allora quanto fosse fondamentale per uno scrittore dire sempre la verità, qualunque essa sia”.
All’inizio l’idea era di scrivere solo un racconto, ma poi la storia “è cresciuta tra mie mani fino a diventare quel romanzone di oltre duecento pagine che è”.
È quasi un miracolo che Facce bianche sia stato scritto e pubblicato. L’autore ricorda che un giorno, mentre stava lavorando alla stesura del romanzo disteso sul suo letto, sua moglie l’aveva chiamato dall’altra stanza per riparare un guasto al televisore. “Evidentemente era convinta che, quanto a tecnologia, fossi più esperto di lei”. Mentre era intento ad armeggiare con i cavi, la camera da letto fu sfondata da una bomba:
“Ho veramente scritto quel libro sotto il costante rischio di morire!”.
La morte rimane per l’autore, “ateo incorreggibile”, una domanda aperta, un affaccio sul vuoto che, come nella poesia preislamica, pervade l’esistenza col sentimento dell’ignoto. Eppure è anche un punto di partenza:
“La fine è cosa nota, si muore. Forse per questo, nei miei romanzi, preferisco cominciare dalla fine. Gli inizi, paradossalmente, sono molto più problematici”.
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Nota bibliografica a cura di G. Longhi
Di Elias Khoury sono al momento disponibili in italiano quattro romanzi, tutti tradotti da Elisabetta Bartuli:
Yalo, Einaudi 2009
Facce bianche, Einaudi 2007
La porta del sole, Einaudi 2004
Il viaggio del piccolo Gandhi, Jouvence 2001
Suoi contributi sono contenuti in:
Libano. Frammenti di storia, società, cultura, cura di E. Chiti, Mesogea 2012
Samir Kassir, L’infelicità araba, cura di E. Bartuli, Einaudi 2006
Id., Primavere. Per una Siria democratica e un Libano indipendente, cura di E. Bartuli, Mesogea 2006
Lo sguardo libanese. Rappresentare il Mediterraneo, Mesogea 2002
Nel 2014, oltre alla traduzione di Sinalcol, per Feltrinelli è prevista la ristampa di La porta del sole nell’Universale Economica
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