Scritto da Francesco De Palo on 01 Luglio 2013.
Postato in Interviste
Gelsomini due anni dopo: è stata solo una bella illusione?
“La tentazione di trarre questa conclusione esiste ma è un atteggiamento
semplicistico. Il popolo ha una certezza. Mai nulla sarà più come prima e
questa consapevolezza mi pare una conquista importante. Sapere per esperienza
diretta che qualsiasi colosso ha un suo tallone di Achille e può sbriciolarsi è
una forza e uno strumento che oggi i tunisini sanno di possedere. Non saranno
più sudditi ma cittadini, ancorché vessati. Forse l’illusione c’è stata a
livello economico: il tessuto era stato minato da 23 anni di dittatura che ha
promosso un’economia contraffatta, di apparente floridezza mentre oggi va
ricostruito il sistema e per alcuni anni la situazione peggiorerà, complice
anche il contesto internazionale di estrema debolezza. Se certi diritti della
cosiddetta laicità oggi vanno difesi più di prima, vero è che ci sono spazi di
apertura neppure ipotizzabili prima. Attenzione a non farsi ingannare dalla
superficie: a chi dice che c’è il rischio, a mio parere lontano, della
diffusione coatta del velo, rispondo che per anni c’è stato il divieto di
indossarlo senza se né ma”.
Quali gli errori gestionali nel post Ben Alì?
“Più che di errori parlerei di incapacità. Da parte dei ‘rivoltosi’, del
popolo in generale non abituato alla protesta c’è stata l’ingenuità di credere
che costruire fosse come distruggere: l’unione e gli ideali comuni sono stati
strumento di forza nel momento della pars destruens ma salendo al
governo si concorre spesso per interessi configgenti; così come la rete è stato
uno strumento che ha dato vigore alla protesta e certezze ma non è uno
strumento di gestione. Anche l’idea, romantica e suggestiva – ammetto – di una
rivolta spontanea senza leader –“tutti possiamo essere leader”, mi dicevano
anche gli amici intellettuali – è alquanto improbabile per costruire una
democrazia. Forse l’errore che ritengo effettivo è quello della ‘sinistra’ (che
si autodefinisce tale pur senza una corrispondenza perfetta con il modello
europeo, ammesso che ne esista uno unitario) che si è frammentata, accesa in
rivalità e personalismi, perdendo sostanzialmente il contatto con la base
elettorale, arroccata su posizioni spesso troppo intellettualistiche o
eurocentriche, basti pensare al PDP di Chebbi. Il Partito di Governo, EnnahDa,
invece purtroppo ha dimostrato quello che era prevedibile: l’inesperienza di
chi non era mai stato al Governo o comunque nell’esercizio libero della politica;
senza conoscenza radicata e aggiornata del proprio paese, visto che i leader
erano quasi tutti in esilio. Inoltre il tema del lavoro, cavallo di battaglia
della campagna elettorale ed argomento certamente vincente e pratico non è
stato rispettato. Il discorso è stato spostato su questioni ideologiche,
centrali, ma per la popolazione incomprensibili e irrilevanti, solo terreno di
gioco di scontri intellettuali. La vera scommessa è l’associazionismo al
femminile e quello sindacale dell’UGTT che spero non scivolino in questioni
partitiche e intellettuali delle quali non c’è bisogno in questo momento”.
Il solito silenzio dell'Europa è ancora un deterrente?
“All’Italia, che pure ha capito cosa stesse accadendo con molto ritardo
e non del tutto – si parla ancora di rivoluzione mentre è stata solo una
rivolta, anche se compiuta – la ribellione tunisina è piaciuta perché è stata
pacifica, indolore, rapida, giovane ma non si è fatto un lavoro di
approfondimento se non tra addetti ai lavori e con iniziative lodevoli ma
sporadiche, sia a livello politico, culturale e giornalistico, così come anche
religioso. Solo che ad esempio di quest’ultimo profilo non si è comunicato
nulla. In generale l’Europa è presa da un impaurimento generale senza
fondamenta e soprattutto non si capisce come mai non tema mai la dittatura. Io
che l’ho solo assaggiata, se ripenso a certi episodi, ritengo che attualmente
la situazione sia decisamente migliore. La libertà di espressione almeno in
termini di legge esiste, la censura è stata abolita e oggi si possono indire
dibattiti pubblici e presentazioni di libri ad esempio, per mia diretta
esperienza. Si corre qualche rischio ma si può fare; prima non era nemmeno
pensabile. L’Europa aspetta di vedere come va a finire per investire o tornare a
viaggiare in Tunisia, ma la Tunisia ha bisogno oggi di qualcuno che scommetta e
costruisca insieme il futuro. Possibilmente non accendendo i riflettori solo
per episodi clamorosi”.
Perché l'Italia continua ad ignorare le pulsioni mediterranee e si
preoccupa solo di spread e umori berlinesi?
“Purtroppo l’Italia non ha memoria storica, non conosce le proprie
potenzialità ed affinità che nel Mediterraneo, senza uscire dall’Europa,
potrebbe esprimere al meglio e con un ruolo guida. Per questo occorre però
impegno e un lavoro di programmazione e concertazione su ampia scala. Da sempre
invece l’Italia, almeno dal Dopoguerra, ma nello stesso Ventennio, rincorre il
mito del più forte accontentandosi di restare pedina, preda e strumento degli
altri, pur di stare, anche se come ruota di scorta, sul carro del vincitore. Il
tema del Mediterraneo nel nuovo assetto internazionale che vede gli Stati Uniti
lontani e il Medioriente incandescente mentre l’Africa è colonizzata da Qatar e
Cina, offre un assist fantastico alla nostra Penisola di ruolo di mediazione e
cerniera. La Tunisia per la storia che ci lega e che quasi nessuno conosce
sarebbe un laboratorio di eccellenza. Basta solo volerlo. Questo ponte sarebbe
funzionale anche a bilanciare il ruolo tedesco che per storia ha oggi un ruolo
predominante nell’affaire Turchia ad esempio. A livello politico, dove la
miopia domina incontrastata, l’argomento Mediterraneo non viene considerato
capace di drenare consenso. Si tratta di elaborare un nuovo modello o di
recuperare quanto scritto in passato da Fernand Braudel e oggi teorizzato dallo
scrittore Predrag Matvjevitch che ha espresso forti dubbi sull’opportunità
dell’entrata in Europa della Croazia in termini di vantaggi per questo paese”.
Femen,la Tunisia respinge accuse detenzione: solo propaganda?
“La faccenda è complessa e sul tema mi sto interessando per capire
l’articolazione della complessità del femminismo o meglio della riflessione sul
femminile della Tunisia dove si stanno confondendo pericolosamente alcuni
piani. E’ indubbia una spinta di una frangia molto contenuta per riportare il
modello della donna alla tradizione con un messaggio involutivo. E’ certamente
un fenomeno che fa molto rumore, per nulla o quasi nulla. Le donne religiose in
prima istanza in Tunisia difendono i diritti delle donne in nome dello stesso
Corano nell’interpretazione sunnita malachita. Non lasciamoci conquistare – in
Italia siamo facile preda del sensazionalismo – dalle proteste che inducono
false idee. Quello che vorrei solo accennare è il fatto che alcuni
comportamenti come denudarsi in luogo pubblico, scrivere con uno spray in un
cimitero, che verrebbero censurati anche in Europa, vengono letti se accadono
in paese arabi come i gesti di esasperazione di eroine. Alcune istanze sono
certamente importanti, altre sono spettacolarizzazione e provocazione e non
certo la premessa di una società democratica. Le donne – molte tunisine lo
stanno facendo – è bene che si battano per l’abolizione delle cosiddette tre
‘riserve’ che ancora persistono: legittima sull’eredità, patria potestà
condivisa e le cosiddette ‘quote rosa’. Oppure per maggiori garanzie sul
lavoro. Il resto è appannaggio di chi in fondo se lo può permettere, spesso
intellettuali che non so quanto stiano aiutando il cammino della donna in
questa fase. So bene che questo mio pensiero può essere sgradevole e giudicato
retrogrado ma sono convinta che l’emancipazione non si affermi con lo scontro.”
Che Tunisia hai conosciuto nei due differenti pamphlet che hai scritto?
“Una Tunisia dall’apparenza solare e dalle fondamenta marce, favorevole
al clientelismo e alla promozione del lusso e di un’economia sbilanciata su
commercio e terziario senza solidità; e ancora una società disinteressata al
proprio paese con una cultura ingessata nel fine regno. Poi una Tunisia in
subbuglio, viva e con la voglia di urlare ma anche disorientata, disabituata a
scegliere, a gestire gli spazi di libertà, estranea al mondo
dell’associazionismo, impaziente ma vitale. C’è stato un periodo di grande
disordine, dagli scioperi, alla sindacalizzazione selvaggia che in parte sta
rientrando nei binari; nello stesso tempo la cultura è esplosa anche se in modo
disordinato e un po’ monotematico, dall’ingresso della satira che è stata una
grande riscoperta. Il paese ha smesso di essere autoreferenziale e proiettato
sugli stereotipi europei e statunitensi per riappropriarsi della propria
identità mediterranea, riallacciando relazioni di vario livello con l’Africa e
con il resto del mondo arabo, ad esempio. Ora è un momento delicato, di
incertezza e attesa, perché la Costituzione non è ancora definita così come le
elezioni per dar vita al primo Governo regolare. Certamente, sembra un luogo
comune e romantico, le donne sono l’ossatura di questo paese, non solo quelle
famose, basti pensare che il 60% del totale dei laureati è donna.”
Quali le responsabilità della politica post primavera?
“La costruzione ex novo di un Paese che dal tempo dei berberi in realtà
non è mai stato libero e non si è mai autogestito, un paese che non ha memoria storica
della propria autonomia e il cui modello politico è sempre altrui, dalla prima
Costituzione democratica non scritta, con Cartagine; al diritto dello stato
scisso da quello religioso, al tempo dei Romani; fino alla laicizzazione dello
stato alla realizzazione di una moderna macchina amministrativa, con la
Francia. Insomma è la prima volta che la Tunisia deve trovare al proprio
interno risorse, idee e metodo. E’ una sfida enorme. Oggi alla politica si
chiede soprattutto lavoro e coesione, mediazione tra istanze molto diverse,
segnatamente laicità e religiosità, modernità e competitività sui mercati
internazionali e rispetto se non recupero della tradizione, soprattutto non
tradendo i valori della rivolta, dignità (lavoro), libertà (di espressione) e giustizia
(separando nettamente il potere politico da quello giudiziario)”.
di Francesco De Palo - twitter@FDepalo
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